Argomento del Canto XXX

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Camminando sul fondo della decima bolgia, superati gli alchimisti, i due poeti incontrano i falsari di persone posseduti da una tal rabbia furibonda da poter essere paragonata solo alla rabbia gelosa che spinse Giunone ad incenerire Semele ed a provocare la pazzia di suo cognato Atamante, oppure alla furia della pazzia di Ecuba, quando seppe della morte degli ultimi due figli rimasti in vita.

Due spiriti, infatti, giungono correndo e si avventano con furia bestiale sugli altri dannati. Griffolino d'Arezzo spiega che il dannato che ha azzannato al collo Capocchio e lo ha trascinato con sè è Gianni Schicchi, mentre il suo compagno è Mirra.


Entrambi sono puniti perchè ingannarono il prossimo facendosi credere altra persona.
Dante, allora, si volge a guardare gli altri dannati ed uno di questi, con il ventre gonfio ed il volto magrissimo, dice ai due poeti di essere Mastro Adamo, che falsò il fiorino d'oro, moneta assai pregiata, su incarico dei conti Guidi nel loro castello di Romena.
Appena Mastro Adamo ha concluso il suo racconto, Dante gli chiede chi siano i due dannati arsi dalla febbre che gli giacciono accanto. Egli dice trattarsi dei falsatori di parola: la moglie di Potifar, che accusò ingiustamente Giuseppe di violenza, e Sinone, che, fingendosi abbandonato dai suoi, convinse i Troiani a portare dentro le mura della città il cavallo di legno pieno di guerrieri greci.
Sinone, risentito di essere stato nominato, inizia un'aspra lite con Mastro Adamo, ed i due dannati si rinfacciano l'un l'altro la propria colpa e la pena conseguente.

Virgilio, allora, rimprovera Dante per essersi attardato ad osservare con interesse la rissa fra i due dannati, ma la vergogna del suo discepolo gli dice che è già pentito ed il poeta gli rivolge parole di conforto.