Argomento del Canto XXXIII

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Il canto XXXIII si apre sull'immagine che chiude il canto precedente: Dante scorge un dannato che si avventa con ferocia sulla testa del suo vicino, confitto con lui in una buca. Il poeta, colpito dalla scena, chiede al dannato chi sia e quale sia l'origine di tale ferocia.
Sollevata la bocca dalla testa e pulitala con i capelli, il dannato dichiara di essere il conte Ugolino della Gherardesca.
Egli narra, quindi, i particolari della prigionia e della morte sua e dei figli innocenti, sperando che il racconto getti infamia sulla memoria di colui che l'ha tradito, l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, sulla cui testa riprende ad avventarsi.

Dante, commosso, pronuncia un'aspra invettiva contro Pisa: solo il colpevole Ugolino doveva essere punito, non i figli incolpevoli.

I poeti proseguono il loro cammino, addentrandosi nella terza zona del nono cerchio, la Tolomea, dove sono puniti i traditori degli ospiti, che tengono il viso rivolto verso l'alto cosicchè le lacrime si ghiacciano, formando una maschera di cristallo sugli occhi e ricacciando in dentro le lacrime stesse.
Un forte vento cattura l'attenzione di Dante, che ne chiede spiegazione a Virgilio: il maestro risponde che ben presto conoscerà da solo l'origine del vento.

Un dannato si rivolge ai due poeti chiedendo loro di togliergli le lacrime ghiacciate dal volto. Dante promette che lo farà se il dannato gli rivelerà il suo nome. Il dannato afferma, allora, di essere frate Alberigo dei Manfredi e, allo stupore di Dante che lo sa ancora vivo, spiega che le anime dei traditori della Tolomea piombano nel luogo della pena subito dopo il tradimento, mentre un diavolo prende albergo nel loro corpo per tutti gli anni che restano loro di vita, e, a conferma delle sue parole, indica l'anima di Branca Doria che ha fatto uccidere a tradimento Michele Zanche.
Terminate le sue parole il frate rinnova la richiesta di togliere dal suo volto le lagrime ghiacciate, ma Dante si allontana senza mantenere la promessa ed anzi pronunciando un'aspra invettiva contro la malvagità dei genovesi.