Domenico di Guzman
Pd. X, 95; (l'altro) Pd. XI, 38; (patriarca) Pd. XI, 121; (l'altro duca) Pd. XII, 31-102;
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La nascita di Domenico, avvenuta a Calaruega ("la fortunata Calaroga" Pd. XII, 52), nel 1170, fu, secondo la tradizione accompagnata da eventi prodigiosi e visioni.
Calaruega si trova in territorio castigliano, "sotto la protezion del grande scudo / in che soggiace il leone e soggioga" (Pd. XII, 53-53). |
Completati gli studi ed ordinato sacerdote, Domenico accompagnò in una delicata missione in Danimarca il vescovo Diego de Acevedo e, sulla via del ritorno, ebbe modo di conoscere la natura e la reale diffusione della setta eretica degli Albigesi.
Fermatosi a Tolosa, Domenico gettò le fondamenta di un nuovo ordine religioso, maschile e femminile, dal suo nome chiamato "domenicano", cui diede come indirizzo di vita la Regola di S. Agostino ed una inclinazione alla vita attiva, più che alla contemplazione, tanto prevalente nella vita monastica del tempo.
Pd. XII, 97-102
Poi, con dottrina e con volere insieme (con scienza e con ardore di zelo),
con l'officio appostolico si mosse
quasi torrente ch'alta vena preme;
e ne li sterpi (erba cattiva) eretici percosse
l'impeto suo, più vivamente quivi (in Provenza)
dove le resistenze eran più grosse.
La fondazione dell'ordine dei predicatori aveva lo scopo di sradicare gli "sterpi eretici", i rami devianti dall'ortodossia della Chiesa, ma, se personalmente il santo utilizzò le "armi" della preghiera e della predicazione, altri utilizzarono le armi in senso proprio.
L'eresia albigese era un ramo dell'eresia catara che, dalle città di Tolosa e di Albi, si era poi diffuso ampiamente, a partire dal XI sec., in tutta la Provenza. Ad essa aderirono i nobili, che avevano preso di mira i vasti possedimenti della chiesa in Provenza, ed i più umili strati della società, disillusi dalla corruzione e dall'avidità del clero cattolico. Quando nel 1208 lo scomunicato conte di Provenza fece uccidere il legato pontificio Pietro di Castelnau, papa Innocenzo III bandì una crociata, in cui si impegnò attivamente anche Folchetto di Marsiglia che, inoltre, collaborò all'istituzione dell'Ordine con S. Domenico. |
La conduzione militare della crociata fu assunta da Simone di Monfort, che in breve sconfisse il conte di Provenza. Il re Pietro II d'Aragona, accorso in aiuto degli Albigesi, fu sconfitto nella battaglia di Muret del 12 settembre 1213, terminata in un bagno di sangue.
La morte dei contendenti pose termine ad uno scontro che, tuttavia, continuò in forma di guerriglia fino a spegnersi definitivamente nel 1229, quando gli ultimi possedimenti degli Albigesi passarono alla corona di Francia.
Dopo l'approvazione della Regola dell'Ordine domenicano da parte di papa Onorio III, a seguire la quale "ben s'impingua, se non si vaneggia" (Pd. XI, 139: ci si arricchisce, cioè, di vera ricchezza, se non si devia dal cammino), Domenico si stabilì a Roma e poi a Bologna, dove morì appena cinquantenne.
Nel 1234, a soli quattro anni dalla morte, Domenico fu canonizzato.
Le profezie di Gioacchino da Fiore affermavano che presto la Provvidenza avrebbe suscitato, a sostegno della Chiesa, due uomini che l'avrebbero guidata più sicura verso Cristo e più fedele ai suoi insegnamenti:
Pd. XI, 35-39
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.
L'un fu tutto serafico in ardore (S. Francesco);
l'altro (S. Domenico) per sapienza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.
Del resto la Chiesa tra Duecento e Trecento aveva due distinti problemi: l'interna corruzione degli ecclesiastici avidi di beni materiali, e l'esterna preoccupazione dell'eresia.
I due Ordini mendicanti contrastarono efficacemente l'uno la corruzione l'altro l'eresia ed erano talmente complementari nella loro azione che venne modificato il sogno di Innocenzo III, narrato nella "Legenda" di S. Bonaventura e dipinto da Giotto nel ciclo di affreschi della Basilica superiore di Assisi: sorreggere sulle proprie spalle S. Giovanni in Laterano pericolante vi sono ora sia S. Francesco, sia S. Domenico.
I due fondatori sono chiamati da Dante "principi", con il valore del vocabolo latino "princeps", cioè capi, ma anche condottieri, poichè per il poeta, la santità è sempre dura battaglia.