Cerchio 5 - Iracondi
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Immerso nella palude Stigia, Filippo Argenti, cerca di eludere la domanda diretta di Dante che chiede la sua identità, rispondendo che è uno che piange, cioè un dannato, ma il poeta lo ha riconosciuto nonostante la sporcizia. |
Virgilio dice (Inf. VIII, 46-48):
Quei fu al mondo persona orgogliosa (arrogante);
bontà non è che sua memoria fregi:
(nessun atto di virtù è ricordato a suo favore)
così s'è l'ombra sua qui furiosa
(perciò è condannato fra gli iracondi).
Di Filippo de' Cavicciuoli, della consorteria degli Adimari, detto Argenti perchè fece ferrare il suo cavallo con ferri d'argento, non si hanno notizie biografiche precise, ma secondo le "Chiose Cassinesi", confermate dal Boccaccio nelle "Esposizioni sopra la Commedia", fu di parte Nera. Da questo particolare potrebbe essere fiorita la leggenda della inimicizia tra Filippo e Dante, aggravata da altri episodi di insulti ed appropriazioni indebite dei beni del poeta in esilio: tutti gli antichi commentatori sentirono, infatti, una
sproporzione fra il peccato dell'Argenti ed il tono duro di Dante, lodato da Virgilio, e cercarono una spiegazione, al di là del testo, nella biografia del poeta.
Molte notizie sull'Argenti derivano da fonti novellistiche, peraltro di limitata attendibilità, e tutte posteriori all'opera dantesca (Sacchetti, Novelle, 64; Boccaccio, Decameron, IX, 8).
Cacciaguida (Pd. Cielo V) parlando delle principali famiglie fiorentine così definisce la famiglia Adimari:
Pd. XVI, 115-117
L'oltracotata schiatta che s'indraca
(la prepotente consorteria che si accanisce)
dietro a chi fugge (contro gli esuli), e a chi mostra 'l dente (con i forti)
o ver la borsa (i corruttori), com'agnel si placa,
già venia sù, ma di picciola gente
Gli Adimari, infatti, famiglia di nobità recente, cominciavano a farsi notare, ma erano di umili origini.