Cerchio 8, bolgia 9, ipocriti
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Inf. XXIII, 115-117 ... Quel confitto che tu miri, consigliò i Farisei che convenia porre un uom per lo popolo a' martiri. |
Caifa ricopriva, dal 18 al 36 d.C., la carica di sommo sacerdote nel sinedrio che condannò a morte Gesù.
Narra Giovanni: "Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: 'Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verrano i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione'. Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: 'Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera'." (Giovanni 11, 47-49).
L'accusa che Dante rivolge a Caifa è precisa: non solo aveva suggerito la condanna a morte di Gesù, ma l'aveva anche falsamente motivata con il bene comune per coprire gli interessi della casta sacerdotale.
Caifa, dunque, è per Dante, insieme al suocero Anna ed ai sacerdoti del sinedrio di Gerusalemme, il modello dell'ipocrita a tal punto che viene reso parte stessa della pena infernale: gli altri ipocriti, infatti, scontando la loro colpa, calpestano Caifa inchiodato a terra "disteso in croce / tanto vilmente ne l'etterno essilio" (Inf. XXIII, 125-126), in una condizione dolorosa quanto degradante.