Battaglia di Benevento

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Papa Urbano VI aveva stretto nel 1263 con Carlo I d'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX il Santo, un accordo in cui Carlo, in cambio dell'appoggio della Chiesa alle sue azioni politiche, si sottometteva ad un rapporto di dipendenza vassallatica.
Tale accordo fu rinnovato da Clemente IV, che offrì a Carlo la corona di Sicilia purchè scacciasse Manfredi.
Questi, figlio illegittimo di Federico II, aveva sottratto nel 1258 al nipote Corradino la corona di Sicilia, suscitando il malcontento dei baroni svevi e dei Comuni e delle Signorie italiane di parte ghibellina.

L'esercito di Manfredi e quello angioino vennero allo scontro diretto il 26 febbraio del 1266.
Quando Manfredi percepì la disfatta, preferì gettarsi nella mischia e morire da valoroso piuttosto che essere fatto prigioniero: presso il ponte di Benevento, infatti, cadde trafitto dai Francesi e, secondo una tradizione riportata dallo stesso Dante, fu sepolto con rispetto dai suoi nemici sotto un tumulo di pietre.
Carlo d'Angiò ed il legato apostolico, il vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli, gli negarono la sepoltura cristiana, adducendo come scusa il fatto che Manfredi fosse morto in stato di scomunica.
Il suo corpo fu quindi dissepolto e portato fuori, "a lume spento", dai confini dello Stato della Chiesa.
La morte di Manfredi è ricordata da Dante nel canto III del Purgatorio.

In seguito a questi eventi tutto il progetto di Federico II sul meridione crollò: Carlo d'Angiò si impadronì di quest'area e vi insediò dei funzionari francesi, trasferendo la capitale da Palermo a Napoli.
Nel frattempo i ghibellini furono nuovamente scacciati da Firenze, dove ripresero il potere i guelfi.